Chi sei tu che mi siedi di fronte su questo treno che viaggia tra le montagne svizzere? Chi sei e a cosa pensi? Se sapessi nella mia testa quanto c’è, quanti colori, suoni e sensazioni, quanta gente, quante parole, pensieri, problemi, soluzioni… e persino scritte del libro che ancora non ho scritto, e musica, suoni, vociferare, brusii, ricordi d’altri tempi.
Non hai idea delle zone d’ombra che incontreresti viaggiando dentro me, ma non puoi riuscire neppure ad immaginare anche quanta luce io sia in grado di accogliere tra le spire del mio pensare.
Chi sei tu, che guardi fuori da questo finestrino inumidito dalla neve? A cosa pensi viaggiatore che ti accompagni, per questo breve tempo, al mio cammino?
Ti direi chi amo e dove mi sta aspettando. E perché l’amo. Incredibile come qualcuno possa avere in tasca una parte di universo che tu sai essere proprio tua.
Silenzio. Facciamo silenzio, io e te. Ma in realtà io so che anche tu, come me, non stai affatto tacendo. Chissà cosa, chissà chi viaggia dentro te mentre tu viaggi qua, con me.
Siamo due corpi che si muovono sul progresso, in cabine che la nostra modernità ha prodotto. Ma poi cos'è il progresso? Cosa la modernità?
Immagino che qualcun altro abbia parlato di qualcosa di simile ammirando un pezzo di pietra di forma circolare capace di ruotare. Che meraviglia. Che meraviglia viaggiare. Volare, correre, pedalare, navigare. Scappare, perdersi, tornare. Pensare, leggere, cantare. Che meraviglia.
Chi sei tu che hai lo sguardo così assorto da non accorgerti che, per me, ormai tu sei già parte della mia storia? Chi sei tu che non t’accorgi che su te io sto leggendo parte di questo mio viaggio, scrivendo il mio futuro, immaginando un’epopea?
Io e te su queste Alpi: due stelle luminose che si inerpicano fino a 2.300 metri d’altitudine e poi oltre… Anche tu ad incontrare Dio? Te stesso?
Brusio, Miralgo, Poschiavo, i boschi. E tu ti prepari. Non ti rivedrò mai più. Ma, chissà perché, probabilmente ti ricorderò per sempre. Anche tu, come me, frammento di pensiero separato dal mondo, in volo oltre l’etere. Vorrei disperatamente salutarti, mi sembra ormai di conoscerti da anni. Ma non capiresti. Ti guardo negli occhi prima che tu scenda. Ricambi lo sguardo.
E finalmente lo vedo.
Anche tu, come io ho fatto di nascosto con te, hai riflettuto su me. Su queste montagne svizzere.
E’ incredibile l’energia del nostro guardarci.
E del nostro rifletterci.
Uno negli occhi dell’altro.
Dim. 50 x 50 cm
Impara a leggere. Leggere i tempi. Ridefinire il concetto di vissuto, ricordi e speranze.
Controlla. Controlla intorno a te quanto, quanti si discostano dalla Legge.
Scoprirai che tutto si sussegue e gira vorticoso nell'universo, per riciclarsi e ritornare, fingendo per pochi attimi ancestrali di essere anche capace di mutare. Ripresentandosi poi allo stesso modo. Come la sicurezza che fa ciò che si conosce ormai bene e da tempo. Come un incubo.
Non basta un’eclissi a rendere un’epoca speciale. Non basta un grande amore tra due esseri umani a ridefinire il concetto di armonia. Non basta neppure una lettera a rifare le leggi della prossemica.
Non bastano i soldi a renderti una persona diversa. Non basta che Cristo muoia a 33 anni per salvare il mondo. Come non è bastata la lettera più bella che ti hanno scritto, per insegnarti a scrivere. Non basta che giorno e notte si alternino per insegnarci l’equilibrio. Non basterò nemmeno io. Che parlo uscendo al di fuori di questo dipinto e cospargendomi in casa tua come alito di vento e profumo di tiglio. Se al mio fianco non ci sarai tu. Nulla basterà a rendere, renderci, l’epoca diversa da tutte le altre. Perché solo gli stolti non accettano che è vero, che la storia si ripete. Solo gli stolti non accettano che è più facile rifare che creare.
Lascia che io crei. Sii pittore, creatore con me. Lasciami parlare. Crea una musica. Insegnamela.
Dim. 80 x 80 cm
Lo direi se solo non avessi paura di sentire la mia voce che lo pronuncia. Proverei a sussurrarlo se il solo pensarlo non mi intimorisse e gettasse nello sconforto. Così lo dipingo. Provo a renderlo musica facendolo scivolare su una tela col mio pennello. Ma è così evidente che non basterà. E’ così ovvio che anche questa volta ci sarà qualcuno che mi dirà che devo rassegnarmi.
Ho studiato la soluzione cercandola tra gli abissi più profondi della Terra e correndo col pensiero intorno alla cima dell’Everest; l’ho cercata salendo fino al cielo saltellando tra le stelle dello Scorpione e contando tutti i passanti della Cintura di Orione. Ho fissato persino il Sole, sperando che quel bruciore agli occhi – avvertimento per non andare oltre, per non incontrare lo sguardo di Dio – prima o poi mi desse tregua permettendomi di scorgere almeno un qualche frammento.
Mi piace pensare che, se sarà, tu sarai la risposta alla preghiera numero 741.
Quelle prima riguardavano sempre te.
Ma non era tempo.
Ma non avevo ancora finito di dipingere questo quadro.
Dim. 80 x 50 cm
Colori, luci, ombre; e chiaroscuri. Il mondo suddiviso, separato, spaccato a metà. Nel mezzo tutto si confonde e il chiaro si permea di scuro; l’oscuro schiarisce. Questo è l’universo, l’esistenza. Yin e Yang. Il giorno si traduce in notte, la notte gli cede il posto per poi tornare possente e vorace ad ingoiarlo. E in quest’universo a volte piove: è una pioggia fine e delicata di fine estate; è anche un alluvione che spazza via le case, le foreste, le persone aggrappate a frammenti di eternità, ritenuti – chissà – forse abbastanza sicuri. A volte piove, ma non sempre si sa quando.
E piove nella storia, piove nell’arcobaleno sulla sinistra di quel mondo in cui prevale il rosso e a cui il blu fa da contorno; piove nell’antro destro dell’universo: dove, forse, flebile ma con drammatica consistenza, si mostra la pioggia nel tempo, nella storia, e quel numero in calce, 90911, bianco, come marchiato nel tessuto delle tenebre, ce lo ricorda. 90911. Un numero che forse vuole dire qualcosa, un numero che forse vuole chiamare Qualcuno. 90911. Che si confonde con cerchi simmetrici: occhi di quel Qualcuno. Spaventosi e spaventati, una mescolanza di timore e tremore, grido e sofferenza. Forse anche incredulità. Cosa faceva l’emisfero alla mia destra? Cosa pensavano? Forse pensavano che piovesse. Non avevano capito che stava già piovendo.
E fra questi due cosmi contrapposti, un alone di luce confusa, quasi una nebulosa interplanetaria: altri mondi, altre storie, altri pensieri. Cromie sconosciute. Forse sogni.
E tutt’intorno raggi: il Sole continua a splendere. Anche sul buio. Anche se c’è una parte di mondo che risplende già di luce propria. Squarcia anche l’angoscia di quegli “occhi”, li sfiora, li tocca intimamente, nella sua obbiettività, nel suo esserci a prescindere da tutti, anche da chi lo chiama, lo prega, piange.
L’angolo oceanico sulla sinistra, l’azzurro di un mare calmo e pacato, è dominato dal pensiero: un pensiero ancora tacito, solo immaginato, non ancora espresso per intero, vergognoso, codardo. Questo drammatico e segreto pensiero diviene manifesto in un contesto di sangue: sanguina tutta la coscienza, sanguina tutta quella parte di mondo, sanguina alla piena luce del Sole, sanguina. E la mente vacilla nella paura che la pioggia sia qualcosa di più di un pensiero. Che sia realtà.
Dall’altra parte del mondo la nebbia avvolge ogni cosa, prende per sé più spazio di quanto non ne abbia la luce. Lotta contro quegli occhi immersi nel buio, anche se più forti di lei. Essa gli fa da sfondo ma alla fine sono loro a risaltare. Gridano. Squarciano la tela dove – nervoso – un filo spinato immerso in un terreno ghiacciato e macchiato, intreccia le trame di più di un destino. Quegli occhi spaccano il silenzio, si fanno strada attraverso colori contrastanti, schizzi di cromie del tutto incomprensibili: imperscrutabili strade della psiche, del complesso, variopinto e stilizzato modo che abbiamo di elaborare la Realtà che ci circonda.
Quel 90911 quasi stampato è un dato di fatto. Esiste. E sfida l’altrettanto preciso Pensiero, forse un altro uomo, forse un’altra umanità intera, forse un altro tempo. Essi sono gli unici due soggetti veramente a fuoco, gli unici ad avere consapevolezza di sé e di cui noi ci accorgiamo in questa tempesta incomprensibile di colori. Due mondi, due realtà contrapposte. Ma precise. Delineate quasi come fossero state ricalcate. Qui e adesso si sfida il mondo.
Quegli occhi non usciranno mai più dalle tenebre. Ma ci sarà anche chi non potrà mai lavarsi del sangue. Il pensiero senza azione: un pensiero inconsistente, un’inutile constatazione, un riflettere vago e fine a se stesso. Crudele nel suo incedere dentro la mente e piano piano ammaliarla, farla a sua immagine e somiglianza, renderla innocua, rimanendo pensiero, effimero svago di un intero emisfero che sta bene e non viene toccato dalla nebbia.
Un intero emisfero che si chiedeva se forse non stesse piovendo, un intero emisfero che si chiede se forse non abbia realmente piovuto. Non avevano creduto che stava già piovendo. Non possiamo credere che abbia realmente piovuto.
Raggi di diversi colori distruggono il dipinto, lo fanno implodere, lo riportano a se stesso; dietro questa sorta di sbarre, anche quegli occhi vengono ammutoliti, ma non chiusi. Tutto tace, in un silenzio inquieto e senza fine, un grido carico di drammatico silenzio. Tutto si permea di luminosità, cade la cortina di fumo che nascondeva la verità. Il folle misfatto è compiuto ma il cielo continua a sorgere da ere impensabili. Su un mondo come sull’altro; avvolge entrambi, anche se impotente.
Cosa pensavano? Forse pensavano che piovesse. Non avevano capito che stava già piovendo.
Dim. 100 x 150 cm
Ho fatto un sogno. Di esso ricordo che il tempo mi ticchettava sulla pelle, lasciava cicatrici e tracce su me. Piangevo: lacrime cristalline, perché tutto cambiava intorno a me. E volavano i gabbiani, disegnavano un cerchio, eterno ritorno dell’uguale. Ma tutto mutava. Ed io fermo a guardarlo scorrere, cambiare forma e colore, sorprendermi; e poi scorrere. Inesorabilmente. Ed io, un marinaio sul molo che contempla la tempesta, a guardare l’acqua, l’orizzonte, il tramonto, il rosso di sera. E in quel mare, persone perdute e ritrovate, lasciate andare e mai più riviste, mai contemplate e poi incontrate; le mie esperienze. Ed io in riva al mare. Con le mie cicatrici: i segni di un bambino che cambia e diventa un ragazzo, si innamora; diventa un uomo. Diventa un marito; diventa padre. E cambia. Cammina, non si ferma, perché tutto scorre, come acqua che danza ai miei piedi. E nel mio sogno Dio, che cuce le mie ferite con croci perché, dice, se le sai guardare, sono rose dei venti.
Dim. 150 x 100 cm